…Il Progetto “SocialMente” è un gruppo di lavoro e sostegno attivo per la promozione e creazione delle abilità sociali e interpersonali negli adulti con Spettro dei Disordini Feto Alcolici (FASD) e si pone come obiettivo il potenziamento dell’autonomia emotiva e sociale delle persone con FASD….

AUTORE

Claudio Diaz

CATEGORIA

Bacheca, Associazione, FASD, In Evidenza

POSTATO IL

15 Ottobre 2022

SOCIAL

AIDEFAD – ETS

Venrdì 21 ottobre si terrà la presentazione del progetto “SocialMente”: gruppo sperimentale di supporto per adulti con Spettro dei Disordini Feto Alcolici.

Il gruppo sarà completamente gratuito e interamente finanziato con la raccolta fondi GoFundMe realizzata da Christian e Davide per ricordare la loro mamma Valentina Debiasi a due anni dalla sua morte.

In meno di una settimana è stata raggiunta e superata la cifra prefissata come obiettivo e così eccoci, a meno di due mesi, pronti a partire con questo importantissimo progetto!

CHI ERA VALENTINA?

Valentina era una nostra grandissimi amica e la sua scomparsa è stata anche per noi un colpo durissimo. Con lei e suo figlio Davide abbiamo realizzato un importante cammino che ha portato alla prima diagnosi in un adulto in Italia.

Questo ha aperto la strada alle molte altre che sono seguite, consentendo finalmente a sempre più persone di ottenere il corretto inquadramento della loro disabilità e iniziando così in molti casi il vitale percorso di recovery.

Dato il legame che ci univa a Valentina e l’importanza e l’impatto che il percorso costruito con Valentina ha avuto sul lavoro dell’associazione e su tante persone e famiglie abbiamo deciso di istituire il “Premio Valentina Debiasi” che ogni anno destina una cifra a una o più tesi di laurea meritevoli sulla FASD.

Quest’anno la premiazione è stata spostata per ragioni organizzative al raduno nazionale delle famiglie di AIDEFAD – APS/ETS che è in fase di organizzazione e si svolgerà verosimilmente poco prima di Natale.

IL PROGETTO FINANZIATO

Il Progetto “SocialMente” è un gruppo di lavoro e sostegno attivo per la promozione e creazione delle abilità sociali e interpersonali negli adulti con Spettro dei Disordini Feto Alcolici (FASD) e si pone come obiettivo il potenziamento dell’autonomia emotiva e sociale delle persone con FASD lavorando su diversi versanti quali:

– consapevolezza ed autoregolazione emotiva;

– potenziamento delle abilità sociali;

– supporto e affiliazione.

MODALITA’ DI SVOLGIMENTO

Il progetto prevede la formazione di un gruppo che si articolerà in 10 incontri da 2 ore ciascuno ogni 15 giorni per un totale di 5 mesi (modalità telematica).

Il gruppo rappresenta lo strumento sociale più efficace per la sperimentazione delle proprie capacità interpersonali.

ASCOLTIAMO DAVIDE

Quella che segue è la testimonianza di Davide che racconta il doloroso e faticoso cammino per arrivare alla diagnosi di Disturbo dello Sviluppo Neurologico Alcol Correlato (Alcohol Related Neurodevelopmental Disorder, ARND), ma anche la sua forza, il suo coraggio, la sua sensibilità.

Questo racconta fa capire quanto importante sia per le persone con FASD poter accedere a percorsi di supporto adeguati e il Gruppo “SocialMente” nasce proprio per offrire agli adulti con FASD un luogo sicuro di confronto e supporto.

“Mi chiamo Davide e ho 24 anni. Sono stato adottato dall’Ucraina quando avevo 3 anni e mezzo e, fin da subito sono stato seguito dal servizio psicologico della neuropsichiatria infantile e dell’età evolutiva. A 15 anni circa, ho poi iniziato a prendere il mio primo psicofarmaco, il Ritalin, in seguito ad una diagnosi di ADHD. Avevo continui attacchi di panico e tachicardia (erano effetti collaterali). Dopodiché, all’età di 18 anni sono stato preso in carico dal Centro di Salute Mentale (CSM) e ho iniziato una terapia farmacologica più ampia.

Fino ai 16 anni, non volevo proprio saperne delle mie origini. Se solo sentivo parlare di adozione, mi chiudevo in me stesso o cambiavo immediatamente argomento. Avevo paura perché era un tema molto difficile e complicato per me. Ho iniziato a parlarne pian piano, all’inizio facevo molta difficoltà, ma poi l’interesse cresceva e cresceva, fino a quando non ho iniziato a parlarne apertamente con i miei amici d’infanzia e con la mia famiglia. Mi ricordo che per parlarne con i miei familiari, avevo bisogno di vedere le foto passate sull’Ucraina e sulla mia adozione.

Ho iniziato la scuola un anno più tardi rispetto agli altri della mia età. Avevo quasi sempre bisogno dell’assistente a scuola, perché avevo grossi problemi di balbuzia (ora per fortuna superati) e non riuscivo a concentrarmi e a seguire le lezioni. In adolescenza ero un “ribelle”. Ero timido e spesso per piacere ai miei compagni, ne combinavo sempre una. Ammetto che ho sofferto di bullismo alle medie e alle superiori, ma questo purtroppo non mi ha evitato di compiere comportamenti simili qualche anno dopo.

A casa litigavo quasi sempre con i miei; dovevo essere sempre seguito dalla mamma per i compiti e questo non mi permetteva di essere autonomo. Volevo iniziare ad avere la mia indipendenza sia nello studio che nelle uscite con la mia compagnia di amici dell’epoca.

All’età di 18 anni ho iniziato un nuovo percorso riabilitativo e ho avuto la mia prima presenza nel reparto di psichiatria. Lì ero abbastanza tranquillo, solo che a livello emotivo ero molto debole, soprattutto quando vedevo ragazzi della mia età o più grandi essere legati al letto per una qualche crisi personale. Dopo 1 mese di ricovero in SPDC, sono stato ricoverato a Villa Santa Giuliana a Verona. In questo centro ci sono rimasto per 1 mese e mezzo per poi essere trasferito alla mia prima comunità a Como, dove ci sono rimasto per 8 mesi. Dopodiché, passati gli 8 mesi, sono stato dimesso e sono tornato a casa dalla mia famiglia. Sentivo nell’aria un profumo di libertà, che però durò ben poco: quando mi sono accorto che stavo di nuovo cadendo nella mia crisi, ho scelto volontariamente di essere trasferito nuovamente a Verona e successivamente alla mia seconda comunità: ad Arco.

Sono arrivato ad Arco l’11 Dicembre 2018. Inizialmente mi sentivo spaesato, a disagio e timido, perché non conoscevo nessuno e avevo bisogno di parlare con qualcuno per sfogarmi per diverse problematiche che avevo all’epoca.

Reagivo in maniera molto impulsiva e non pensavo alle conseguenze. Inizialmente riuscivo a moderare il mio comportamento e riuscivo a seguire tutte le attività assegnate. Ma dopo qualche mese, iniziai ad avere un atteggiamento scontroso verso pazienti ed operatori. Le crisi di rabbia erano frequenti e per sfogare la mia frustrazione tiravo pugni sui muri o sulle porte, però, in quei pochi momenti di lucidità chiedevo quasi sempre di assumere la terapia al bisogno o alcune volte preferivo farmi fare una fiala di Entumin per evitare di fare danni.

Nel primo periodo, non credevo che questa comunità era adatta a me e alle mie esigenze, anzi mi agitavo molto. Non volevo avere nulla a che fare con nessun altro compagno perché sentivo di non potermi fidare.

In primavera ho iniziato ad avere degli atteggiamenti scontrosi contro il personale, avevo fatto amicizia con due ragazzi e quindi mi sentivo forte in quanto appartenente ad un gruppo. Iniziai ad alzare la voce contro gli operatori, a sfidarli, e a non seguire più le regole. Quindi dopo una serie di episodi spiacevoli, sono stato allontanato in un’altra comunità: ad Albarè.

Dopo un breve periodo, sono stato dimesso perché ho avuto una crisi di rabbia molto forte e gli operatori non sapevano più gestirmi. Così, con una “temporanea” dimissione, ho avuto l’occasione di tornare temporaneamente a casa dalla mia famiglia.

Con il trascorrere del tempo a casa, la mamma si interessò tramite qualche associazione e ricerche su internet, per trovare una giusta diagnosi per me, perché finora, non ci rispecchiavamo in nulla di ciò che i dottori mi avevano comunicato. Da quando ho 16 anni, infatti, ho ricevuto almeno 5 diagnosi, nessuna delle quali era calzante. La mamma arrivò così al sito di AIDEFAD e contattò l’associazione. Parlò a lungo con il suo presidente, Claudio Diaz, che ci indirizzò a Roma, più specificatamente al CRARL (Centro di Riferimento Alcologico della Regione Lazio) del Policlinico Umberto I. Fu la volta di una nuova diagnosi. Detto con molta sincerità, sono innamorato di Roma e quindi non mi ha fatto per niente male rivedere quella magnifica città. Appena arrivato a Roma con la mamma, ho iniziato a riflettere sul mio passato e su quale fosse realmente in mio problema, ragionando anche su quali fossero le motivazioni che mi avevano spinto a compiere dei comportamenti sbagliati nelle varie comunità e in general nella vita. Mi chiedevo quasi sempre: “Come faccio a dimostrare a chi mi sta intorno la mia voglia di riscatto?”.

Al giorno della diagnosi io mi sentivo molto agitato, ma con una sorpresa che non mi sarei aspettato, durante i test e i colloqui, mi hanno detto: “Davide, non è colpa tua”.

In quel giorno mi diagnosticarono l’ARND (Disturbo dello sviluppo neurologico associato all’alcol), la mia nuova diagnosi. E’ stato un sollievo pensare che non ero incanalato nelle diagnosi precedenti come ad esempio di Disturbo Borderline di Personalità o diagnosi simili. Non sarei riuscito a riconoscermi per l’ennesima volta, ma invece stavolta fu diverso.

E in quel preciso istante è come se la mia testa avesse fatto “click” e ho iniziato a ripetermi: “Davide, ce la puoi fare a riscattarti!”. Così, il direttore sanitario ha chiamato la mamma per chiederle come andava e in quella telefonata ho scoperto che la comunità mi avrebbe dato una seconda possibilità. Un nuovo ricovero, partendo completamente da zero. Ho accettato le condizioni che mi erano state presentate e da quel momento è iniziata la mia salita verso la serenità.

Ho ricominciato da zero, dal riprogrammare gli obiettivi, alle uscite programmate solo con operatori, all’essere inserito nelle mansioni giornaliere per essere utile alla comunità. Mi sono presentato come un ragazzo nuovo, senza aver bisogno di quelle tipiche scenate imbarazzanti (che un paio di anni fa avrei fatto) e riuscendo a gestire alti livelli di stress (cosa che un paio di anni fa non immaginavo sarebbe stato possibile fare). Il personale mi ha accolto con entusiasmo, e così ho iniziato il percorso nel migliore dei modi. Con il passare del tempo, ho scoperto che più andavo avanti bene, più venivo gratificato e premiato, come con le uscite di gruppo in paese, o quando mi è stato proposto di iniziare a cucinare per me e per chiunque avessi voluto invitare da noi a cena. Ho anche scoperto che il personale era mio alleato per i momenti difficili e quindi potevo parlare con gli operatori (cosa che sempre un paio di anni prima, non avrei nemmeno pensato!).

Oggi, dopo due anni di comunità, posso dire che ho imparato molto dalle lezioni che la mia vita mi ha messo davanti. Tutt’oggi, ho molta più libertà rispetto a un anno fa: ad esempio sono stato dimesso da Arco per tornare nella mia città in un alloggio protetto, e sono libero di passeggiare per la città in qualsiasi momento io voglia farlo, inoltre, gli operatori ti lasciano molta più autonomia e libertà, perchè è una comunità studiata apposta al raggiungimento dell’autonomia abitativa dell’utente.

Da circa un paio d’anni sono in contatto con Claudio Diaz, presidente dell’associazione AIDEFAD e devo dire che mi ha aiutato molto a spronarmi per fare sempre meglio, fino alla grande soddisfazione dell’intervista fatta con mia mamma online che può ancora essere vista su youtube

Anche lui vede dei cambiamenti in me, ad esempio, da quando biascicavo le parole al telefono per magari aver preso una dose alta di psicofarmaci ad adesso, che prendo una terapia farmacologica abbastanza equilibrata.

Oggi mi sento un ragazzo nuovo, con pochi pensieri negativi e molte aspirazioni. Anche perché un anno fa, non avevo queste libertà, perché non ero lucido mentalmente, per colpa delle mie crisi di rabbia.

Ringrazio mia madre, per tutti gli sforzi che ha fatto per rendere migliore la mia vita. Purtroppo un tumore al cervello l’ha portata via due anni fa, ma lei rimarrà per sempre nel mio cuore e le sue radici di saggezza e di amore rimarranno per sempre impiantate nella mia anima. Grazie mamma per tutto quello che hai fatto per me, e per aver combattuto fino alla fine dei tuoi giorni per salvarmi la vita da quell’inferno che solo io e te conoscevamo.
Nonostante il tremendo dolore per la perdita della mamma, sto continuando con il mio percorso. Nell’ultimo anno ho fatto qualche esperienza lavorativa in un laboratorio protetto. Devo ammettere che non è stata una cosa semplicissima. In quel periodo però, mi sono imbattuto in qualche articolo online sul ruolo di Esperto tra Pari e ne sono rimasto istantaneamente affascinato. Ho così fatto qualche ricerca sul tema, per poi iscrivermi ad un corso intensivo al termine del quale ho ricevuto una certificazione che mi permette di svolgere servizi in questo campo sul territorio nazionale. Al momento sono volontario come Esperto tra Pari presso una comunità di minori a Bolzano. Sono solo all’inizio del percorso ma sento che ho di fronte a me un sacco di tappe positive e mi sveglio ogni giorno con una forte passione verso la mia missione di condividere la mia storia e aiutare le persone in difficoltà con un percorso simile al mio.

Un grazie a tutti coloro che sono in prima linea con me, per migliorare la mia vita in meglio.”

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