“Perché lo psichiatra troppo spesso finisce con l’essere lo specialista a cui inviare i pazienti ai quali non si riesca a fare una diagnosi corretta come a nascondere il problema?”
“Questa è una questione molto interessante. Forse perché il senso comune – anche nel mondo sanitario – porta a ritenere che fenomeni complessi o non spiegabili lo diventino se affrontati in modo generico evocando percorsi della mente non provati e non conosciuti. Forse perché, talvolta, psicologi e psichiatri sono disponibili ad avere, erroneamente, competenza su tutto. Forse perché è difficile ammettere di non capire e di non conoscere ed avere l’umiltà di ricercare.”

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Claudio Diaz

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Riflessioni

POSTATO IL

12 Febbraio 2018

SOCIAL

Claudio Diaz

Alcuni giorni fa a Bolzano si è svolto un evento intitolato il “Dott. Google e la Salute”, organizzato dalla Federazione per il Sociale e la Sanità di Bolzano e dall’Azienda Sanitaria dell’Alto Adige, a cui mi è stato chiesto di intervenire per raccontare l’esperienza del paziente e il suo punto di vista relativi all’utilizzo della rete.

Questa intervista è un esempio chiarissimo di come la rete possa mettere in contatto pazienti e professionisti, e far sì che ne nascano scambi, progetti, condivisioni e reciproca scoperta e conoscenza.
Ho infatti conosciuto il Dr. Gerardo Favaretto, Direttore del Dipartimento di Salute Mentale dell’ULSS 2 – Marca Trevigiana, dopo aver ascoltato, proprio grazie alla rete, il suo bellissimo intervento “Essere psichiatri oggi”, tenuto al 47° Congresso Nazionale della Società Italiana di Psichiatria – SIP, nel 2015 a Taormina. Ne rimasi stregato, tanto che le sue parole riaccesero in me la fiducia verso gli psichiatri e la psichiatria, che nonostante il grande e dolorosissimo tradimento era rimasta, seppur sopita, in fondo al mio cuore. 
I social invece mi hanno permesso di stringere con il Dr. Favaretto un contatto diretto che oggi mi permette di offrirvi quest’intervista in cui ho riversato molte e complesse domande che nascono proprio dal tradimento di cui dicevo sopra e da un annoso e per nulla limpido atteggiamento di tanti psichiatri incontrati virtualmente e non in questi anni a cui ponevo domande per me di grande importanza e che mai si esponevano nel dare risposte chiare e davvero chiarificatrici. Il dr. Favaretto con le sue risposte ha invece confermato la sensazione che l’ascolto del suo intervento aveva scaturito in me.
Mi auguro che questo “dialogo” possa fornire anche a voi i chiarimenti che forse fino a oggi non siete riusciti ad avere e magari anche stimolare qualche ulteriore domanda.
“Cos’è la Psichiatria e cos’è per Lei la Psichiatria?”
“A questa domanda è piuttosto arduo rispondere data l’apertura di senso che il termine “cos’è” comporta. Vale a dire che se il cos’è significa rivelare un’essenza, decidere le parole che più di altre rappresentano ciò di cui si parla, allora questo con la psichiatria è impossibile. Si potrebbe partire proprio dal fatto che c’è qualcosa di impossibile nella psichiatria, o nella cura, per fare un riferimento a una nota affermazione di Freud. Se accettiamo che si possa parlare al plurale, se ammettiamo che la psichiatria sia la somma impossibile e imperfetta dei molteplici punti di vista che la guardano possiamo provare a dire qualcosa di questi punti di vista.
• La psichiatria, la sua pratica è profondamente coinvolta con una pratica sociale, che varia relativamente nel tempo, e che concerne la presa di distanza da ciò che, in qualche modo, si considera anormale. Sulla priorità della definizione di anormalità effettivamente c’e molto da discutere  ma sta di fatto che la Psichiatria nasce come pratica istituzionale dentro spazi definiti e separati destinati a tenere tutti coloro che per motivi diversi venivano definiti come folli. In questo senso la psichiatria ha intrinsecamente a che fare con un potere.
• È anche volontà di cura, accoglienza e comprensione del desiderio, ricerca della cura attraverso la comprensione.
• È anche conoscenza e spiegazione di meccanismi che stanno alla base di manifestazioni psicopatologiche e l’uso di rimedi di dimostrata efficacia scientifica ai problemi collegati a situazioni di malattia.”
“Cosa pensa del sempre più diffuso e non propriamente corretto uso di psicofarmaci e come crede si potrebbe affrontare questo problema?”
“L’uso degli psicofarmaci inadeguato o scorretto è spesso legato almeno a due fattori:
1. La scarsa conoscenza della psicopatologia, dei farmaci, dei loro vantaggi, dei loro limiti, dei loro effetti collaterali.
2. Dare risposte riduttive rispetto a bisogni o domande complesse e articolate.”
“Cosa pensa dell’eccesso di diagnosi psichiatriche? Si può ritenere che anche in questo campo vi sia un imperversare di disease mongering?”
“Sulle diagnosi il discorso si fa ulteriormente complesso per gli stessi motivi dell’identità della psichiatria.
Fare una diagnosi psichiatrica comporta il fatto di riferirsi a un sistema diagnostico che ha degli assunti di base – che possono essere condivisibili o meno -. E’ necessario però che questi assunti di base siano chiari ed esplicitati specie nelle evidenze su cui si basano. Esiste poi un’area grigia nella quale le diagnosi sono applicate a comportamenti o in modo diffuso ed  è esattamente ciò che non va fatto e non è utile fare. I sistemi nosografici peraltro sono in grande evoluzione, in un cambiamento continuo per cui non andrebbero usati al di fuori della comprensione degli assunti di base e della legittima collocazione in un contesto storico e sociale.”
“Perché lo psichiatra troppo spesso finisce con l’essere lo specialista a cui inviare i pazienti ai quali non si riesca a fare una diagnosi corretta come a nascondere il problema?”
“Questa è una questione molto interessante. Forse perché il senso comune – anche nel mondo sanitario – porta a ritenere che fenomeni complessi o non spiegabili lo diventino se affrontati in modo generico evocando percorsi della mente non provati e non conosciuti. Forse perché, talvolta, psicologi e psichiatri sono disponibili ad avere, erroneamente, competenza su tutto. Forse perché è difficile ammettere di non capire e di non conoscere ed avere l’umiltà di ricercare.”
“Cosa pensa della connessione tra intestino e psiche? È un nuovo mondo da osservare con attenzione o invece crede sia l’ennesima costruzione “commerciale”?”
“Non ho abbastanza elementi per rispondere a questa domanda. Credo comunque che non sia sbagliato pensare che in generale la persona sia, dal punto di vista della comprensione, una coerenza psicofisica e che la distinzione appartiene al nostro modo di osservare e ai linguaggi che usiamo per descrivere.”
“Cos’è lo stigma e come combatterlo?”
“Lo stigma è lo svantaggio sociale causato da pregiudizi – su una condizione, su una  malattia, su qualsiasi cosa -. I pregiudizi  sui disturbi mentali sono molto diffusi fra la popolazione generale ma anche fra gli operatori sanitari e anche fra le persone stesse che soffrono – vedi autostigma -.
Ci sono molti studi che ci dimostrano che è difficile combattere lo stigma e che gli interventi più efficaci sono quelli che riescono a far arrivare al grande pubblico messaggi che contrastano i pregiudizi, ad esempio personaggi famosi che testimoniano le loro difficoltà e i loro successi. La lotta allo stigma risulta più efficace in un contesto di comunità inclusive, comprensiva e solidale.”
“Esistono psichiatrie diverse? Intendo dire se esistano ufficialmente approcci diversi alla salute mentale e se sì, oggettivamente, quale risulta sortire i migliori effetti?”
“Esistono molti approcci e teorie della mente, la miglior pratica psichiatrica ha bisogno di tutte le conoscenza e di tutti gli interrogativi per risultare efficace. Nessuna psichiatria è efficace se non parte dal principio di una relazione comprensiva della persona.”
“Cosa pensa dell’antipsichiatria e perché sempre più persone nutrono sentimenti di sfiducia verso questa specialità?
Il rapporto medico-paziente è sempre più in crisi e forse quello con lo psichiatra ancor più, secondo Lei perché? Si può sostenere che vi sia stato un tradimento della fiducia da parte della classe medica?”
 “Negli anni ’60 e ’70 la pratica contro le istituzioni totali e segreganti è stata fondamentale e determinante per superare istituzioni dedicate sostanzialmente alla reclusione e alla perdita della libertà da persone che avevano il solo problema di stare male o di essere state definite tali.
Le polemiche sulla psichiatria di oggi a dire il vero non c’entrano moltissimo con quella antipsichiatria.
Una cattiva pratica della psichiatria va sempre criticata. Ma sull’altro versante però bisogna ricordare che la ricerca di un nemico, di qualcuno responsabile del negativo è una strategia che spesso compatta persone e gruppi sociali. Esistono atteggiamenti e personalità che si approcciano alla psichiatria, e non solo a quella, in modo antagonista con l’animo di avere finalmente trovato un nemico ma anche con la paura di dover affrontare aspetti di sé che non si sentono di affrontare.
Questo non ha nulla a che fare ovviamente con l’empowerment delle persone e il loro diritto ad essere informate, a verificare diagnosi e cure e ad essere protagonisti delle scelte che li riguardano. Il processo di empowerment è complesso in psichiatria più che in altri contesti ma è una della possibilità di autentica lotta allo stigma ed è di importanza prioritaria. Da questo punto di vista un grande ruolo hanno le associazioni degli utenti e dei familiari.
La disponibilità di informazioni e la maggior competenza mettono le persone in grado di scegliere. Talvolta sono i professioni della salute, o gli psichiatri, a non essere pronti a collaborare con le persone che scelgono e questo può creare delle difficoltà. Ma non è sempre così. E’ proprio a partire dalla psichiatria che si sono creati movimenti di consapevolezza fra gli utenti, e di richiesta di coinvolgimento e protagonismo dei portatori di interesse. Difficile dire se il rapporto fra medici e paziente sia in crisi o meno, certamente è piu’ complesso e influenzato da molti fattori. Ignorarli puo’ creare difficoltà, dare loro al giusta rilevanza aiuta a far funzionare meglio la relazione.”
“Si può guarire dalla malattia mentale?”
“Come si guarisce da altre malattie differentemente se sono lievi o gravi. Nello stesso identico modo. In questi anni si è dato molto rilievo al concetto di recovery per riassumere, specie nel caso di disturbi mentali gravi quella condizione di buon funzionamento psicosociale che resta di fatto l’ obbiettivo del percorso terapeutico riabilitativo.”
“Nei casi di patologie gravi come Disturbo Bipolare o Schizofrenia l’utilizzo dei farmaci è sempre e per sempre necessario?”
Assolutamente sì a meno di attenti monitoraggi e specifiche valutazioni specifiche di un determinato caso.”
“Esiste la diagnosi psichiatrica errata?”
“Sì certo. Come per tutte le altre discipline esiste l’errore diagnostico così anche in psichiatria.”
“Perché avere una diagnosi psichiatrica rende il paziente inattendibile quando questi manifesti condizioni diverse?”
“E’ una diretta manifestazione di pregiudizi e quindi uno stigma a carico del paziente psichiatrico, oltre che un errore medico.”
“Personalmente credo che vi sia, sebbene non dovrebbe esistere, molta differenza tra Psichiatria e Salute Mentale, lei cosa ne pensa?”
“C’e sicuramente una differenza che non è positiva o negativa ma è legata al fatto di indicare due ambiti diversi e che forse vanno opportunamente distinti proprio per non creare deleghe inadeguate alla Psichiatria su questioni più ampie come la salute mentale. La psichiatria da sola non può garantire la salute mentale di una comunità.”
“Per quale ragione una volta ottenuta una diagnosi sembra impossibile che questa venga rivista?”
“Non dovrebbe essere così. Una diagnosi se inadeguata o con evidenza di errore va corretta. Peraltro alcune diagnosi proprio per loro caratteristica possono essere fatte solo dopo un congruo periodo di tempo di osservazione clinica.”
“Cosa pensa della Cannabis Terapeutica ed in particolare del suo utilizzo in Psichiatria?
“Non ho elementi per rispondere a questa domanda. Non ho preclusioni comunque se un farmaco funziona e dimostra in modo evidente il suo beneficio deve essere usato quando serve. Bisogna sottolineare che però abbiamo evidenze sul ruolo del THC negli esordi psicotici in determinate fasce di persone.”
“Cos’è e cosa pensa della Doppia Diagnosi? Non trova sia ampiamente sovrautilizzata?”
“La questione della doppia diagnosi nasce con la presenza di sistemi diagnostici che distinguono diagnosi legate alla presenza di un presunta patologia specifica – ad esempio la depressione – da tratti di base – ad esempio la struttura di personalità, ritardo mentale.. -, in altre parole si è resa necessaria questa dicitura quando la diffusione dei sistemi diagnostici dsm ha comportato la necessità di dare una descrizione della condizione della persona utilizzando codici diagnostici attribuibili a livelli diversi e in un numero non definito aprendo la cosiddetta questione della comorbidità. Il termine di doppia diagnosi è diventato poi anche sinonimo della coesistenza di un disturbo psichiatrico con l’uso di sostanze – o di altra condizione strutturale o compitamente problematica – dimostrando con questa una certa tendenza la semplificazione e al riduzionismo. La diagnosi come già detto è un atto di cultura complesso profondamente legato alla cultura del tempo. Il termine di doppia diagnosi già da tempo si sta rivelando inadeguato a descrivere molte situazioni.”
“Tossicodipendenza, alcolismo, disturbi alimentari: malattie o sintomi?”
“L’uso di sostanze, di alcool, il digiuno le abbuffate sono dei comportamenti che non sono necessariamente in sé un’entità psicopatologica. In realtà uno dei grandi problemi dello psichiatria di sempre è stato di descrivere i sintomi mentali, la loro natura e ciò che li rende tali, ovvero sintomi. Se spostiamo il ragionamento sui comportamenti la cosa si fa molto più complicata solo per dire che i comportamenti non possono essere considerati in sé dei disturbi mentali né, automaticamente, dei sintomi. Il digiuno o l’assunzione di sostanze ne sono un esempio chiarissimo: a fronte dello stesso identico comportamento il senso emozionale, psicologico ed eventualmente psicopatologico può essere diverso, senza contare poi gli effetti secondari che sulla mente hanno sostanze, digiuno e abbuffate. In definitiva si tratta di ambiti comportamentali spesso presenti in determinati condizioni psicopatologiche ma che non sono di per sé sintomi di questi ma elementi costitutivi di una forma della sofferenza.”
“Perché la Psichiatria, soprattutto la psicofarmacologia, agisce sui sintomi e non si struttura per affrontare i problemi laddove questi realmente nascono?”
“Primo, perché nessuno ha chiaro dove siano i problemi “ laddove questi realmente nascono “  o, meglio,  il modello danno -menomazione – malattia – cura – guarigione non è coerente non solo con la psichiatria moderna ma neppure con la medicina di oggi essendo di fatto riduttivo e semplificante.
Secondo, perché i farmaci sono una risposta biologica a meccanismi biologici considerati dannosi ma nessuno ci dice che questi siano determinanti per la genesi di una condizione psicopatologica.
Terzo, perché lo stesso principio di causalità e di generazione del disturbo va considerato alla luce della storicità della vita della persona e alla possibilità concretissima che il suo patrimonio biologico sia modificato dalle sue esperienze.
Le stesse psicoterapie che sostengono di affrontare i problemi di struttura, pur essendo preziose nel lavoro di riassestamento della persona non sono dotate di evidenze che dimostrino la loro efficacia “alla base” del disturbo.
Infine, è davvero importante il concetto di ricerca di un equilibrio e di realizzazione delle proprie possibilità personali e sociali che il termine recovery sottintende. E’ un passaggio importante rappresentarsi che la “guarigione“ in realtà sia la possibilità di crescita ed evoluzione.”
“Spettro Autistico, FASD, ADHD… Tanti Spettri che spesso s’intersecano. Diagnosi tendenzialmente nuove che si affrontano in modo sconnesso e per nulla funzionale. Cosa può offrire di buono a queste condizioni la psichiatria?”
“Non posso che ribadire la caratteristica culturale e storicamente determinata delle diagnosi. Il concetto di spettro in particolare può apparire, e probabilmente lo è, controverso dato che viene utilizzato sostanzialmente per evidenziare una continuità psicopatologica di base che giustifica anche manifestazioni cliniche diverse. In questo senso le suddivisioni sembrano estemporanee e parziali, specie quando non sono supportate da solide evidenze scientifiche e prodromi che a interventi terapeutici veramente specifici. Ciò non toglie che le condizioni di base e di fragilità che si manifestano anche a partire dai primi ani di vita non vadano conosciute e studiate meglio proprio per premettere, laddove è possibile, interventi precoci su persone e famiglie.”
“A quali segni dare importanza durante l’infanzia per evitare venga posta una diagnosi errata? In particolare per evitare che disturbi del neurosviluppo che non necessariamente implicano ridotta intelligenza siano interpretati come problemi prettamente psichiatrici?”
“Il mondo dell’infanzia e dell’adolescenza è un mondo cui avvicinarsi con grande attenzione e competenza. I segnali di fragilità spesso sono evidenti come è evidente che una delle preoccupazioni principali dovrebbe essere quella di escludere o identificare tempestivamente le problematiche del neuro sviluppo. Vale anche qui la necessità di un approccio globale, che comprenda anche la famiglia ma che non sia riduttiva in senso biologico ma neppure in quello psicologico ovvero che, ribadisco, non utilizzi l’ambito psichiatrico come una spiegazione passpartout. Risulta poi di una certa complessità in effetti valutare il piano cognitivo nei bambini, ma oggi ci sono strumenti e scale piuttosto sofisticati che permettono di rappresentare il problema con un profilo che può suggerire diversi approcci diagnostici.
“Ammalarsi è di per sé un trauma, ma soffrire di una malattia rara e/o complessa sottopone a un trauma reiterato causato dalle contraddittorie interpretazioni dei diversi medici, dall’assenza di una terapia e spesso di una prognosi, dal dover peregrinare alla ricerca di risposte che non arrivano, dalla deresponsabilizzazione di molti medici che non amano invischiarsi in situazioni complicate. Che ruolo potrebbe avere lo psichiatra in questo?”
“Direi innanzitutto che tutti i medici, non è un questione di specializzazione, dovrebbero avere la capacità di ascoltare la persona che hanno in cura e che stanno valutando riuscendo a vedere al di là della problematica specialistica che ritengono la persona gli stia portando. Specialmente quando ci si trova di fronte a situazioni complicate e difficili da capire. Mi verrebbe da dire che sarebbe meglio che, in questi casi, lo psichiatra non avesse un ruolo, nè che stesse fuori e soprattutto che non si pensasse allo psichiatra come a colui che si deve occupare dell’’incomprensibile per farlo diventare psicopatologico, semplicemente perché così non è. Una persona che soffre è una persona e nel suo soffrire mette anche le proprie emozioni. I medici dovrebbero essere in grado almeno di capire che sono pure queste e che non sono per forza causa o origine del problema. Poi ci son gli psicologi che pure possono aiutar e le persone di fronte alle conseguenze di traumi o reiterate difficoltà vissute in relazione a una malattia complessa. Ma questo, ribadisco non esenta dalla comprensione tutti gli altri operatori sanitari.”

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