…Soffermatevi a pensare a cosa possa significare per due genitori trovarsi catapultati in questa realtà senza ottenere alcuna risposta se non colpevolizzante verso il loro metodo educativo o banalizzante verso problematiche psicologiche del figlio connesse all’abbandono. Componente questa sicuramente presente, ma solo minima parte della complessità del problema.
E soffermatevi a pensare cosa potessi provare io nel vivere tutto ciò senza che nessuno avesse gli strumenti per aiutarmi…
AUTORE
Claudio Diaz
CATEGORIA
Rassegna Stampa
POSTATO IL
Dicembre 2019
SOCIAL
IDisturbi da esposizione fetale ad alcol e droghe (DEFAD) sono conosciuti, in particolare quelli connessi all’alcol dei quali la letteratura scientifica parla già dalla fine degli anni ’60, ma sottaciuti, mal o non diagnosticati.
Detto ciò, voglio raccontarvi una storia:
Un giorno di giugno di 40 anni fa venivo alla luce all’ospedale di Treviso.
La mia mamma non mi strinse a sé, non mi accarezzò, non mi scaldò, non mi nutrì. Appena nato venni portato nella Nursery. Qui attesi 10 giorni i miei genitori adottivi.
Non so se la mia mamma non abbia voluto o non abbia potuto avere un contatto con me. So che il fondamentale legame di sicurezza, di accudimento e di amore, vitale ad una creatura appena nata, mi fu negato.
Il parto è stato difficile, ed è stato la spia di una vita difficile. Sono nato a basso peso, il liquido amniotico era fortemente tinto, la placenta scarsa, gli elettroliti sballati, avevo clonie e anche nei giorni successivi piangevo sempre, anche dopo i pasti non riuscivo a riposare.
La vita era iniziata e non potevo immaginare come quei 9 mesi che avevano preceduto questo giorno l’avrebbero indelebilmente condizionata. Forse a quei tempi non lo potevano immaginare nemmeno i medici.
Allora prevaleva la convinzione che danni e traumi subiti durante la gravidanza scomparissero con il tempo grazie alle opportunità che la nuova famiglia poteva offrire. Purtroppo ciò non è vero. Opportunità e amore sono fondamentali componenti che agiscono positivamente su un sistema che però è incredibilmente complesso e nulla di peggio c’è che semplificare, banalizzare la complessità. La complessità va riconosciuta, analizzata, osservata e accolta!
Ben presto iniziai a mostrare segnali di qualcosa che non andava come ci si sarebbe aspettati, che col tempo non fecero che peggiorare. Avevo problemi col sonno, esplosioni di rabbia incontrollabile, comportamenti oppositivi, cambiamenti repentini di personalità, difficoltà di coordinamento neuromotorio, problemi nel comprendere le conseguenze delle mie azioni, difficoltà a capire di chi fidarmi, a chi dire cosa e chi no, sovraccarichi sensoriali, aggressività, autolesionismo, difficoltà a comprendere se mi si stesse prendendo in giro, aumenti e diminuzioni significative del peso corporeo, problematiche gastrointestinali…
Soffermatevi a pensare a cosa possa significare per due genitori trovarsi catapultati in questa realtà senza sapere a chi rivolgersi, senza ottenere alcuna risposta se non colpevolizzante verso il loro metodo educativo o banalizzante verso problematiche psicologiche del figlio connesse all’abbandono. Componente questa sicuramente presente, ma solo minima parte della complessità del problema.
E soffermatevi a pensare cosa potessi provare io nel vivere tutto ciò senza che nessuno avesse gli strumenti per aiutarmi.
Arrivò devastante l’adolescenza. A 13 anni cominciai a bere. Bevevo molto, smodatamente, senza rendermi conto dei rischi, delle conseguenze, semplicemente sentivo che in qualche modo faceva parte di me, come un’antica memoria che non ha bisogno di crescere, ma una volta scoperta è come se ti appartenesse da sempre.
La nostra famiglia cominciò a sgretolarsi.
Il sistema cominciò a gestirmi non più come un essere umano, ma come una serie di sintomi da curare, di azioni da punire, di comportamenti da controllare.
Claudio smise di esistere.
Nei lunghi e confusi decenni che seguirono non si fece altro che tamponare manifestazioni, nascondere comportamenti e si generò tutto fuorché Cura.
Iniziarono i problemi di salute mentale e poi arrivarono le droghe e con essi i 18 anni che sdoganarono la neuropsicofarmacologia.
Per molti anni la mia vita è stata isolamento sociale e stigma!
Nessuno era interessato a me, a cosa provassi, alle difficoltà che percepivo, ai bisogni che avevo. Il focus era l’annullamento del problema.
Nel 2010 iniziarono importanti problematiche di salute, ma anche in questo caso risultò per tutti più semplice rimandarle ai presunti problemi psichiatrici.
Questa cecità accese in me un fuoco di rivalsa, un desiderio di vita, un bisogno di verità e giustizia così potenti che mi travolsero e mi spinsero ad intraprendere un cammino che non avrei mai immaginato sin dove mi avrebbe condotto.
Questo fuoco vitale trovò un innumerevole numero di osteggiatori, ma cominciò ad attrarre anche tante brave persone che mi aiutarono a rimettere insieme una vita di tasselli fino al quel momento sparsi sul pavimento della mia mente. I ricordi di tutte le mie difficoltà riaffiorarono e cominciai a comprendere che non erano colpa mia, che non si trattava semplicemente di problematiche psichiatriche, che c’era un mondo dietro a tutto ciò.
Ed ecco che conobbi uno dei massimi conoscitori di DEFAD in Italia, che finalmente mise insieme i pezzi della mia storia e mi supportò nell’ottenimento delle informazioni sulla mia famiglia biologica. La diagnosi di Sindrome cerebrale da esposizione fetale ad alcol e droghe era confermata. Questa diagnosi mi ha cambiato la vita! Allora non ero matto, colpevole, sbagliato, non mi inventavo tutto, finalmente potevo perdonarmi e perdonare e imparare a conoscermi, forse finalmente potevo essere chi sentivo di essere.
La mia mamma biologica era figlia di un alcolista.
Aveva un lieve ritardo intellettivo, problemi neuropsichiatrici e prima dei 13 anni divenne tossicodipendente. Così anche mio padre. Rimase presto incinta e durante la gravidanza non smise, non smisero di assumere sostanze, durante la gravidanza non smisero le violenze.
Ecco cosa sono i DEFAD!
Ecco la loro complessità!
Ecco la loro trasmissibilità!
Ecco da dove e perché nasce AIDEFAD!
Nei DEFAD è frequente lo sviluppo di cosiddette disabilità secondarie: problemi di salute mentale, dipendenze, comportamenti sessuali inappropriati, con la scuola, con la Giustizia, ma sebbene queste disabilità secondarie si sviluppino per una predisposizione o un alterato funzionamento cerebrale, ciò che le rende davvero devastanti è la non corretta diagnosi.
Io non ho più problemi di dipendenze, non assumo più psicofarmaci da più di 7 anni. Ho imparato a riconoscere le mie difficoltà, a prevenirle, a controllarle, ad accettarle.
Voglio aggiungere un altro elemento alla riflessione: la corretta e precoce diagnosi di DEFAD ha un ruolo incredibilmente importante nell’abbattimento dei costi per la cura di questi pazienti.
Una diagnosi corretta e precoce permette un immediato empowerment della persona, della famiglia e della scuola e consente l’accesso a servizi mirati, ottimizzando i costi e riducendo gli sprechi.
C’è dunque da fare moltissimo e va fatto assieme: prevenzione e corretta diagnosi, anche per chi non è più un bambino.
I DEFAD sono la maggior causa di disabilità del neurosviluppo non genetica nel mondo Occidentale e l’Italia è tristemente nella top five!
[CLICCA per leggere l’articolo sulla Rivista “Panorama della Sanità”]
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